Ciao a tutti amici, oggi parlo di Amygdalatropolis di BR Yeager edito in italiano da Nero Editions. Un libro che è più un’esperienza che una storia: protagonista hikikomori, sei anni chiuso in una stanza, completamente assorbito dal lato più oscuro di internet. Un sito che somiglia molto a 4chan, un loop senza fine di post, video, orrori e deliri.
All’inizio ero titubante, e per la verità ho ancora dei mixed feelings nei confronti di questo libro, però se mi ha portato qui a parlarne e scriverne diciamo che vuol dire che un po’ mi ha lasciato sicuramente qualcosa.

C’erano due cose che mi facevano storcere il naso: la lingua e la trama.
Una delle voci maggiormente presenti in Amygdalatropolis è la voce della “board“, riportata proprio come la vediamo su internet, con lo stesso slang e gli stessi termini. La lingua principale di questi luoghi è prevalentemente l’inglese, quindi non ero sicura che in italiano potesse mantenere lo stesso senso. Per mia sorpresa invece, devo dire che anche in italiano l’esperienza è stata molto realistica. Mi capita di incontrare lo stesso tipo di “mix” italiano/inglese anche su Reddit o addirittura su Facebook, quindi non mi è parso artificioso ma anzi credibile. Sto valutando di legger comunque anche la versione inglese.
Aggiungo, per chi fosse indeciso, che per l‘edizione inglese di Amygdalatropolis ho letto un sacco di recensioni che lamentavano la presenza di questa grossa introduzione prima della storia, che oltre a “spoilerare”, risultava anche piuttosto ostica per le tematiche prettamente filosofiche. Nella versione italiana questo contenuto è stato inserito come “postfazione” e devo dire che credo abbia molto più senso e sia molto più utile leggerlo “dopo” piuttosto che prima.
In merito alla trama invece, hikikomori chiuso in casa. Ancora? Mi sembrava il solito cliché. Avevo già storto il naso con House of Sayuri per lo stesso motivo. Ma alla fine, non è il punto. Non importa cosa racconti, ma come lo fai. E qui il come è qualcosa di mai visto.
Ho letto un libro o sono stata tre ore su Reddit a scrollare?

La struttura narrativa di Amygdalatropolis e le sue tre voci
Una delle prime cose di cui voglio subito parlare è la struttura del libro. Per la verità è la prima volta che mi imbatto in qualcosa del genere e avevo sottovalutato l’effetto che può fare la destrutturazione del normale modello di ‘libro’ che conosciamo.
Il libro ha tre voci narrative principali: il protagonista, /1404er/, i post della board e una terza voce (forse quella più enigmatica) che pare sia di natura onirica.
La voce più consistente è quella della board, ci sono tantissimi thread riportati con la struttura esatta delle board. C’è stato un momento inquietante in cui mi sono accorta che leggevo con la stessa avidità con cui avrei letto una serie di post online: qui, qui ho capito che questo libro maledetto mi stava dicendo che ci siamo tutti dentro. Che pensi che non finirai mai a leggere queste schifezze, però poi se ti si presentano…riesci davvero a distogliere lo sguardo? Non parlo dei contenuti di per sé, parlo anche solo delle discussioni. Ma sai quanti iniziano così? “Solo per curiosità”, ci illudiamo di avere noi il controllo e poi puff, ecco che ci siamo dentro senza rendercene conto.
E poi mi sono fermata. Ma non è quello che faccio anch’io, da appassionata di horror? Non sono forse attratta dalle stesse cose? Cerchiamo il macabro, il disturbante, lo shock. Ma dov’è il confine? Forse è solo la consapevolezza a separarci. La capacità di mettere un muro tra realtà e finzione. Ma quanto è sottile quel muro? Quanto può essere facile perdersi?
Sottolineo la struttura perché è stato proprio un tipo di lettura diverso dal solito: era come se fossi al telefono, a saltare da una tab all’altra, da un post all’altro, perché anche i post non seguono alcuna logica, alcuni sono assolutamente tremendi e da manicomio, altri sono discussioni sul libero arbitrio e l’astrofisica. Questa sperimentazione di stile mi è piaciuta tanto, c’è poco da aggiungere.

La desensibilizzazione all’orrore, “Amygdalatropolis” la città della paura?
Sulla scia di quanto detto sù, ho preso due parallelismi interessanti dalla postfazione di Amygdalatropolis: Bataille e Martyrs (sì, proprio quel Martyrs).
Bataille era un filosofo che credeva che la sofferenza potesse essere utilizzata per raggiungere una sorta di estasi mistica, ho letto una frase molto interessante che diceva circa “tra la vita e la morte c’è di mezzo il dolore, solo attraverso questo possiamo raggiungre qualcosa di molto vicino alla trascendenza”.
Martyrs invece è proprio il noto film popolare tra noi maledetti dell’horror ed il concetto è molto simile, solo trasposto al piano fisico ed in maniera estremizzata: una tale sofferenza, un tale martirio, in grado di permettere di “guardare oltre”.
E in Amygdalatropolis? Anche qui si cerca una sorta di annullamento di sé stessi ma la sofferenza non è fisica, non c’è. C’è solo il consumo ossessivo ma non si raggiunge niente, si rimane assolutamente passivi, incapaci anche di annientarsi completamente. “Qualsiasi scelta farai, questo non cambierà l’esito della partita”, riprendendo lo strano videogioco del libro.
Ho pensato a cosa potesse significare il titolo “Amygalatropolis“, mi viene da pensare ad una sorta di “città della paura”, però la spiegazione non mi tornava del tutto perché i nostri personaggi sono tutto fuorché spaventati da quello che succede. Poi ho letto un’intervista di Yeager e forse la spiegazione più appropriata è che per /1404er/ il vero inferno non è l’orrore che consuma online, ma il confronto con sé stesso, con il reale. Lo vediamo terrorizzato dalle cose più banali: parlare con un fattorino, entrare in cucina, addirittura sentire la sua stessa voce. Paradossalmente l’orrore online pur essendo estremo è più “interorizzato”, si è abituato a quel genere di cose. Ma la realtà? Tutt’altro paio di maniche.
/1404er/ tutti e nessuno, inerme, in trappola e senza alcuna redenzione
Eccolo qua il nostro protagonista. Il suo nome è lo stesso della board che abita, in cui tutti hanno lo stesso nickname. Tutti sono tutti, dispersione completa della persona e dominio dell’anonimato: internet at its finest.
/1404er/ ci accompagna come voce quasi secondaria del libro, sappiamo essere il protagonista ma è così misero da fare poco rumore. Anche il suo epilogo, non è un vero “epilogo” e infatti questo è uno dei punti che mi sento dire di non aver “completamente apprezzato”: non c’è un vero e proprio finale, non c’è una svolta. Però, pur non avendo apprezzato questa cosa, in parte è come se avesse un senso, una logica con tutto il contesto: /1404er/ vive e muore da verme, non ha alcun impatto sul mondo, sulla realtà, sulla sua vita. Così, anche Amygdalatropolis si conclude senza alcun tipo di redenzione, /1404er/ che dal suo computer, come una sorta di Dio (un Dio fallito per me), guarda tutti gli angoli del mondo ripresi da numerose webcam. Guarda tutto e tutti ma è assolutamente incapace di agire, schiavo passivo delle proprie paure.
Quindi ecco questa conclusione non mi ha dato quel senso generale di “chiusura” che si ha con i libri in genere, però mi sembra coerente.
Il carme 25 di Catullo come introduzione di Amygdalatropolis
Un’introduzione non da poco è quella che si sceglie di inserire in questo libro. Catullo, che ben ricordo per le sue colorate invettive, descrive un certo Tallo come un personaggio molle, senza carattere, senza forza, una figura passiva e ridicola.
In Amygdalatropolis, il protagonista /1404er/ incarna proprio questa passività assoluta: non ha un’identità propria, si dissolve nella massa anonima della board, non agisce, non cambia assolutamente nulla.
Il linguaggio come forma di violenza
Catullo, proprio come gli utenti di un forum anonimo, trasforma le parole in un’arma. Le usa per aggredire, degradare, ridurre Tallo a nulla.
Oggi, il meccanismo è lo stesso. Online, dietro lo schermo, la violenza diventa linguaggio: post, commenti, insulti, minacce. Gli utenti si proteggono dietro l’anonimato, consumano contenuti orribili nella sicurezza della loro stanza, attaccano senza conseguenze, nascosti dietro 34874 layers di sicurezza per non essere scoperti.

Amygalatropolis è da leggere?
Non è per tutti. Io ero curiosa anche perché ho avuto modo di vedere queste realtà un po’ più da vicino, quindi ero molto interessata a una trasposizione di questo tipo.
Per chi non ha idea di cosa siano questi luoghi, potrebbe comunque essere un’esperienza interessante, anche solo per affacciarsi su una realtà digitale che esiste, ed è più vicina di quanto crediamo.
Ma, al di là dei contenuti, Amygdalatropolis è interessante anche solo per il suo stile sperimentale. Non è un libro che travolge, ma è un libro che lascia qualcosa. E non so quanto sia una cosa positiva.